Quante volte abbiamo sentito la frase: “Che brutto carattere!”? Spesso la sentiamo pronunciata con un tono di sconforto, quasi fosse una sentenza definitiva. Una convinzione radicata nell’idea che una persona, avendo un certo carattere, sia destinata a rimanere sempre la stessa. “Chi nasce tondo, non può morire quadrato”, mi diceva spesso mia nonna. Una frase che suona come una verità assoluta e che, proprio per questo, potrebbe sembrare schiacciante. Ma è davvero così? Possiamo davvero parlare di carattere come di qualcosa di immutabile?
Mi viene da riflettere su cosa significhi davvero avere un “brutto carattere”. Ma, per il momento, voglio mettere da parte l’aggettivo “brutto” e concentrarmi sul sostantivo: carattere. La frase di mia nonna, al di là del suo tono scherzoso, apre una questione importante. È davvero impossibile cambiare? È inevitabile rimanere sempre uguali a noi stessi? La risposta è più complessa di quanto sembri e richiede una distinzione preliminare tra tre concetti che spesso confondiamo: temperamento, carattere e personalità.
Il temperamento è il nostro nocciolo originario, ciò che ci portiamo dentro fin dalla nascita. È fatto di predisposizioni innate, determinate geneticamente, che influenzano il nostro modo di reagire al mondo. È ciò che rende alcuni di noi più impulsivi e altri più riflessivi, alcuni più tranquilli e altri più irrequieti. Si tratta di tratti stabili e immutabili che non possiamo modificare. È la parte di noi che, per intenderci, resta costante nonostante il tempo e le esperienze.
Il carattere, invece, è tutta un’altra cosa. Non è qualcosa di ereditato o scritto nel nostro DNA, ma si forma e si modella nel tempo, attraverso l’interazione con l’ambiente che ci circonda. È una risposta ai contesti in cui viviamo: alle esperienze che facciamo, alle relazioni che instauriamo, agli stimoli culturali e sociali che riceviamo. Ed è proprio per questo che il carattere può cambiare. Possiamo lavorare su di esso, smussare gli angoli, come si direbbe restando nella metafora geometrica, imparare a gestire le nostre reazioni emotive e sviluppare un maggior controllo sugli impulsi. Tuttavia, questo processo richiede consapevolezza. Senza autoconsapevolezza, ogni tentativo di cambiamento rimane superficiale. Solo conoscendo a fondo noi stessi possiamo intervenire sul modo in cui reagiamo agli stimoli esterni, trasformando ciò che è automatico in qualcosa di più consapevole.
Infine, c’è la personalità, che rappresenta una sintesi tra ciò che ereditiamo e ciò che costruiamo. La personalità integra gli aspetti più profondi e immutabili del temperamento con quelli più dinamici e plasmabili del carattere. È la nostra identità più complessa e sfaccettata, che racchiude sia ciò che siamo fin dalla nascita sia ciò che diventiamo nel tempo.
A questo punto, è importante fare un’ulteriore precisazione. Il comportamento non è il carattere. Il comportamento è il modo in cui ci manifestiamo all’esterno, ed è fortemente influenzato dal contesto in cui ci troviamo. Può cambiare da una situazione all’altra e non rappresenta in modo definitivo né il nostro carattere né la nostra personalità. Questo è un punto fondamentale, soprattutto quando giudichiamo gli altri. Confondere il comportamento con il carattere ci porta spesso a dare etichette sbagliate, a chiudere le persone in definizioni rigide che non rendono giustizia alla loro complessità. È un errore comune, ma particolarmente dannoso quando lo commettiamo con i bambini. Dire a un bambino che ha un “brutto carattere” non significa solo giudicare un suo comportamento, ma rischia di limitare la sua percezione di sé e la sua capacità di cambiamento. Lo stiamo rinchiudendo in una scatola, fatta di preconcetti, da cui sarà difficile uscire.
Riflettere su queste distinzioni ci insegna l’importanza di andare oltre le apparenze, di non fermarci al primo giudizio. Quando ci relazioniamo con gli altri, usare le parole giuste e guardare con curiosità, piuttosto che con pregiudizio, ci permette di vedere le persone per ciò che sono realmente, nella loro complessità e nel loro potenziale. Questo vale per tutti, ma diventa ancora più significativo quando si tratta di bambini, che sono in una fase di crescita e cambiamento continuo. Non commettiamo l’errore di bloccarli in definizioni troppo strette: potremmo scoprire in loro, e in noi stessi, molto più di quanto immaginiamo.